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SCHELM DI BERGEN

C'è un ballo in costume stanotte al castello
di Dusseldorf, alto sul Reno.
Van maschere multicolori a le vampe
dei ceri nel ritmo sereno.

E danza la bella duchessa, mai stanca
di ridere forte, squillante.
Il suo ballerino è un garzone slanciato
ed agile, molto galante.

Dal suo mascherino di nero velluto
giulivo origliando scintilla
un occhio che,
come un pugnale snudato
a mezzo del fodero, brilla.

Applaudono liete la coppia al passaggio
le maschere carnevalesche:
con schiocchi e sghignazzi accompagnano il ritmo
le buffe figure burlesche.

La tromba spettegola, il contrabbasso
impazzisce, tempesta:
sinchè finalmente la musica tace
ed anche la danza s'arresta.

"O mia Serenissima, chiedo licenza:
io debbo andar via." - Ma ridendo,
gli fa la duchessa: "Ti lascio, ma prima
vedere il tuo viso pretendo."

"O mia Serenissima, chiedo licenza:
fa orrore, il mio viso, e spavento!"
Lei ride: "Non temo: su, mostrami il volto!
E poi parti pure, consento."

"O mia Serenissima, chiedo licenza:
la notte, la morte mi chiama!"
Lei ride: "Non prima  ch'io veda il tuo volto,
che tu mi soddisfi la brama."

Invanno egli tenta di schermirsi con frasi
oscure; ragione non sente
la donna, ed infine gli strappa dal volto
la maschera violentemente.

"E' il boia di Bergen!" - la folla atterrita
sperdendosi grida, interdetta.
E dentro le braccia al consorte, tremante,
la bella duchessa si getta.

Il duca è avveduto, e l'oltraggio a la sposa
cancella in un batter d'occhio.
Snudata la spada lucente, comanda:
"Qui a me, giovanotto, in ginocchio!"

"Con questo mio colpo di spada, ti faccio
e nobile e cavaliere;
ma, essendo un carnefice, un Schelm, Schelm di Bergen,
quel nome dovrai mantenere."

Così fu il carnefice il nobile ceppo
dei Schelme di Bergen. Famosa,
superba progenie renana, che oggi
in arche di marmo riposa.

(Heinrich Heine - Romanzero - Trad. Giorgio Calabresi)

PENSIERI E GHIRIBIZZI

Intorno alla mia culla scherzavano gli ultimi raggi lunari del secolo diciottesimo e i primi raggi mattutini del diciannovesimo.

Mia madre mi raccontava di aver veduto, durante la sua gravidanza, delle mele pendere in un giardino, ma di non averle volute cogliere per paura che suo figlio diventasse un ladro. E così io ho avuto sempre nella mia vita un'intima bramosia per i bei frutti, rattenuta però dal rispetto dell'altrui proprietà e dal ribrezzo del furto.

Io ho il carattere più pacifico di questo mondo. I miei desideri sono: una modesta capanna con un tetto di paglia, ma un buon letto, buon mangiare, latte e burro molto fresco; dinanzi alla finestra fiori, dinanzi alla porta qualche bell'albero; e se il buon Dio mi volesse rendere del tutto felice, dovrebbe farmi gustare la gioia di vedere a questi alberi appiccati sei o sette dei miei nemici. Commosso nel cuore, allora, dinanzi alla loro morte, loro perdonerei tutte le ingiustizie che mi hanno fatto in vita. Già, si deve perdonare ai propri nemici, ma non prima che si siano impiccati.

(Heinrich Heine - Pensieri e ghiribizzi - Trad. Antero Meozzi) 

IDEE. IL LIBRO LE GRAND

La vita, quale la si vive in cielo, Signora, Lei può immaginarsela facilmente, tanto più che Lei è maritata. Lassù ci si diverte in modo superbo, vi si trovano tutti i piaceri possibili, si vive nella gioia e nel buonumore, proprio come Dio in Francia; si banchetta dalla mattina alla sera; la cucina è squisita quanto quella di Jagor; oche arrostite svolazzano con una salsierina in becco e si sentono lusingate se le si assapora; torte lucide di burro crescono allo stato selvaggio, come girasoli; ovunque ruscelli di bouillon e di champagne; ovunque alberi da cui pendono tovaglioli al vento. Si mangia e ci si pulisce la bocca, e si torna a mangiare senza guastarsi lo stomaco; si intonano salmi o ci si trastulla con cari e teneri angioletti, oppure si passeggia sui verdi prati degli Alleluia; ci si sente a proprio agio in bianche morbide vesti e niente turba il senso di beatitudine; nessuna cura, nessun dolore. No. E se qualcuno per isbaglio vi pesta i calli ed esclama: «Excusez!», Voi sorridendo trasfigurato lo rassicurate: «Il tuo piede, fratello, non m'ha fatto alcun male; au contraire il mio corpo ne ha provato un più dolce e celeste rapimento.»

Ma dell'inferno, Signora, Lei non ha idea. Di tutti i diavoli Lei conosce forse solo il più piccolo, il piccolo diavoletto Amore; garbato croupier dell'inferno. E l'inferno Le è noto soltanto dal Don Giovanni, e per quest'ingannatore di donne, che dà così cattivo esempio, esso non le sembrerà mai abbastanza infocato, per quanto i nostri commendevolissimi direttori di teatro vi prodighino tutte le fiamme, le piogge di fuoco, le polveri e il colofonio che ogni buon cristiano sceso all'inferno possa onestamente pretendere.

In realtà l'inferno è molto più terribile di quanto i nostri teatranti non se lo immaginino, altrimenti non farebbero rappresentare tanti brutti drammi. All'inferno fa un caldo infernale e allorché mi ci ritrovai, nei giorni di canicola, mi parve assolutamente insopportabile. No, Signora, Lei non ha idea dell'inferno! D'altra parte noi riceviamo da laggiù solo poche notizie ufficiali. Ma dire che le povere anime vi siano costrette a leggere per tutto il giorno i cattivi sermoni che si stampano sulla terra - no, questa è pura calunnia. L'inferno non è brutto a tal punto, e Satana non immaginerà mai tormenti così raffinati.

(Heinrich Heine - Idee. Il libro Le Grand - Trad. Linder M.; Linder E.)