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ATTA TROLL

CAPUT III

E' il mio canto un sogno senza
scopo, al pari de l'amore,
de la vita, del creato,
de l'istesso Creatore.

Corra o trotti, o de le favole
verso il regno ergasi a volo,
obbedire al suo capriccio
il mio Pegaso vuol solo.

Virtuosa ed util brenna
di borghesi egli non è;
né destrier che in guerra sbuffi
e la polve alzi col piè.

No; ferrate d'or le zampe
ha l'alato mio corsiere;
ha le redini di perle,
ch'io vagar lascio a piacere.

Or mi porta ove tu vuoi;
sovra i poggi al ciel sorgenti,
ove mugghian le cascate
i lugubri  avvertimenti;

ne le quete umili valli,
ove, al piè le pensose
querci, sgorgan de le favole
le fontane misteriose.

Bagnar gli occhi di quell'onda
e labbra indi m'assenti,
di quell'onda ch'ai mortali
apre gli occhi apre le menti.

Cade il velo, ecco: dischiusa
ogni grotta ecco m'appare:
Atta Troll veggo, e lo sento
ne la sua grotta parlare.

Cosa strana! Questa lingua
non m'è nuova! Or dove, or quando
la sentii? Forse nel dolce
mio paese? Io mi domando.

CAPUT IX

Come rossa da le labbra
 nereggianti a un tratto fuore
vien la lingua del Re Moro,
quando è preso di furore,

così fuori esce la luna
da le oscure nubi rotte:
suonan lungi le cascate
nel silenzio de la notte.

Solo, in cima de la rupe,
dritto, in fiero atteggiamento,
Atta Troll sta sopra l'orlo
de l'abisso, ed urla al vento.

"Sì, io sono un orso, io sono
ciò che dire di una pelosa,
una brutta orribil fiera;
e Dio sa qual altra cosa.

Sì, io sono un orso, io sono
quella stupida bestiaccia,
che irridete, che sprezzate,
ed a cui date la caccia.

Il buffon vostro son io;
l'orco io son, la bestia nera,
onde i bimbi impertinenti
spaventate in su la sera.

Sono il mostro dei racconti
de le vostre balie. E' vero:
sì, ciò sono; e ad alta voce
io lo grido al mondo intero.

Sì, signori! io sono un orso;
né ciò tengo a mio disdoro,
anzi, come se da Mendelssohn
discendessi, me ne onoro."

CAPUT XIV

Sul pendio de la montagna
le cui cime il sole indora,
un villaggio, quasi nido
d'augelletti, sporge fuora.

Io lassù con gran fatica
e pericolo arrivai.
Tutti i vecchi eran fuggiti:
solo i bimbi ci trovai.

Graziosi fanciulletti,
coi cappucci di colore,
recitavan ne la piazza
le commedie dell'amore.

Seguitar senza turbarsi
il lor gioco; ed io l'amante
topolino inginocchiarsi
e la gatta vidi innante.

Si fa sposo. Allor la moglie
sgrida, morde; e alfine irata
se lo mangia. Morto il topo,
la commedia è terminata.

Mi trattenni con quei bimbi
tutto il giorno quasi: ed essi,
conversando, mi richiesereo
chi foss'io, e che facessi.

"La Germania, o cari, io dissi,
è la terra dove nacqui:
ci son molti orsi; ed agli orsi
di cacciar sempre mi piacqui.

A più d'un la pelle intera
ho dal corpo io là strappata;
ma talvolta m'ebbi ancora
qualche ruvida zampata.

Finalmente un dì fastidio
invincibile mi prese
di pugnar sempre con quelli
stupidi orsi del paese:

e men venni qua, sperando
miglior caccia ritrovare.
Le mie forze col valente
Atta Troll cò misurare.

Questi è un nobile avversario,
contro il quale vincere è gloria.
In Germania dovrei spesso
arrossir della vittoria."

Allor ch'io mi congedai,
fero un cerchio intorno a me,
e cantaro i bimbi in coro:
"Girofflino, girofflé."

 Poi la bimba più piccina
vispa e franca s'avanzò,
mi fe' quattro riverenze,
e guardandomi cantò:

"Quando incontro il re per via,
io gli fo due riverenze;
e se incontro la regina,
io le fo tre riverenze:

ma se il diavol con le corna
vien per caso incontro a me,
gli fo quattro riverenze!
Girofflino, girofflè."

"Girofflino, girofflè"
ripeté dei bimbi il coro,
ed intorno a le mie gambe
ripigliar la danza loro.

Ne la valle io scesi, e come
pispigliar d'augelli, a me
venìa sempre il dolce canto:
"Girofflino, girofflè."

 (Heinrich Heine - Antologia Lirica - Trad. Giuseppe Chiarini)

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